In Sant’Antonio guardiamo oltre quella cancellata

Ecco la lettera arrivata a Vita Trentina dal coordinamento dei gruppi caritativi della parrocchia delle nostre parrocchie:

Proponiamo ai lettori le nostre riflessioni sulla ormai nota vicenda dei cancelli che cingeranno, a breve, piazzetta Borzaga, adiacente e pertinente la nostra chiesa di Sant’Antonio, nel quartiere della Bolghera a Trento.

I numerosi commenti comparsi sulla stampa e sulla televisione, sia locale che fuori regione, sottolineano gli aspetti securitari dei futuri cancelli, la funzione di garanzia e tutela contro l’intrusione e la presenza di persone non desiderate. Ma l’apposizione dei cancelli ha “dietro” una storia pluriennale che invita a riflettere anche su altri aspetti della vicenda. Vogliamo, in primis, esprimere solidarietà e sostegno al nostro Parroco, don Severino Vareschi, che ha pubblicamente assunto la responsabilità di una scelta difficile che ha travagliato la sua stessa coscienza. È doveroso sottolineare che la scelta è frutto di una decisione sollecitata dal Consiglio Pastorale, dall’Associazione Oratorio Sant’Antonio e da numerosi parrocchiani, nonché dalle persone e negozianti del circondario.

I fatti. Non è stato facile per il quartiere della Bolghera e per la sua Chiesa assumere la consapevolezza che la crescente presenza sul proprio territorio di migranti e altre persone senza fissa dimora non era un fenomeno sporadico, ma una realtà condivisa con tutta la città. Occorreva “fare i conti” con un’umanità difficile, che cerca accoglienza e staziona ovunque trovi o creda di poter trovare rifugio. Una umanità che porta disagi e contrastiNel quartiere prevalse inizialmente il convincimento di poter affidare la soluzione del problema alle sole istituzioni preposte alla gestione e sicurezza del territorio. I volonterosi interventi dell’Autorità non si dimostrarono però risolutivi. Si impose, con evidenza, la complessità del problema, ma furono poche le persone che avvertirono l’esigenza e l’urgenza di un impegno diretto, in affiancamento alle istituzioni e alla Chiesa, per confrontarsi coi fragili e trovare con loro una soddisfacente convivenza.

Non è stata una via facile, nemmeno per il parroco che ci rammenta sempre il monito forte di papa Francesco e del nostro vescovo, Lauro Tisi: tutta la società civile e in primis i fedeli si facciano carico dei poveri/fragili, come parte integrante della comunità.

Vi sono poi, nel nostro quartiere, esempi sperimentati di collaborazioni virtuose tra istituzioni e volontari: le case di accoglienza “Orlando” e “Padre Angelo”, dedicate ai fragili; gruppi organizzati per il “controllo di vicinato”, che vigilano sulla sicurezza del quartiere; la scuola di italiano per migranti e altri fragili, operante presso l’oratorio di Sant’Antonio; lo stesso nostro gruppo caritativo, il centro d’ascolto e l’associazione San Vincenzo che hanno ampliato il proprio servizio a favore di queste nuove povertà; la persona che, volontariamente, ogni mattina assicura il servizio di portineria della canonica della parrocchia. Tutte testimonianze preziose, che ci hanno indicato/indicano con chiarezza la via da seguire: la responsabilità degli emarginati, la custodia e cura della comunità è problema comune e ciascuno deve assumerne una parte. Il confronto tra noi e le persone emarginate ha vissuto/vive momenti di tensione, di contrapposizione, ma anche di esiti positivi e inaspettati. In questi anni difficili i nostri sforzi sono stati coronati anche da faticosi successi: non si è tenuta una contabilità al riguardo, ma sono almeno una decina le persone che hanno trovato la strada del reinserimento sociale.

Perché allora i cancelli attorno alla piazzetta Borzaga, luogo di socialità dei poveri, abbruttiti dalla indifferenza della città, dall’alcol, dalla droga e da disturbi psichici? Perché non siamo stati ancora capaci né bastevoli a gestire la loro complicata realtà. La recinzione della piazzetta Borzaga non conclude il percorso che si sta svolgendo anche adesso: è una tappa, un momento di pausa nella fatica. Soprattutto è un conforto per quanti hanno particolarmente sofferto il disagio di una convivenza difficile. È un monito per tutti i fragili che non hanno saputo/potuto raccogliere gli aiuti generosi della Parrocchia e si sono ostinati nel loro modus vivendi, irrispettosi delle regole basilari di convivenza. È un monito per la comunità del quartiere e per la stessa comunità cristiana che non hanno trovato forza e coraggio sufficienti per andare oltre la separazione. È un monito per le istituzioni, perché anche gli interventi volonterosi sono insufficienti se non sono sostenuti da una visione alta della realtà da governare. È una occasione per riflettere che l’ordine pubblico nasce anche “dal basso”, affrontando e coltivando relazioni difficili. È una occasione per gioire, perché sulla strada intrapresa si stanno avvicinando altri compagni di viaggio.

La cancellata è solo un compromesso che non ci impedisce di guardare ancora avanti.